Pietro Tomassi è nato a Livorno nel 1976.
Le sue prime opere sono state eseguite nel laboratorio di
modellazione e ceramica dell'Associazione "Terre dei Fossi Doppi",
situato nel Comune di Cascina e diretto da Daniela Colognori. Ha
lavorato alla realizzazione della grande scultura mariana, opera di
Paolo Grigò, da collocare all'ingresso del porto di
Livorno.
Una sua opera in argilla smaltata è stata acquistata nel 2011 dalla
Casa di cura di San Rossore. Il suo "Perseo", in resina verniciata,
è collocato nel porticato del Nuovo Auditorium della città
di Pontedera, sul viale Rinaldo Piaggio. Una sua grande
scultura in ferro e cannicciato colorato è posta nell'atrio del
nuovo Polo Interfacoltà dell'Università di Pisa in
via Matteucci.
Sue opere compaiono in importanti collezioni private toscane. Ha
esposto in diverse mostre collettive promosse dall'Associazione
"Terre dei Fossi Doppi". Ispirandosi ad elementi concreti come
l'acqua, il fuoco, l'aria, il giovane Tomassi trova piacere nel
rappresentarli in figure antropomorfe, in posizioni che diano un
senso a ciò che essi stessi rappresentano per
l'uomo.
Le opere di Tomassi si ispirano inoltre a figure della mitologia classica come Icaro, Perseo, Narciso. Qui il mito si fonde con un'esperienza che accompagna le sue giornate: momenti in cui passato e presente si legano in un concetto che diviene comprensibile nel gesto di un eroe mitologico.
Pisa 23 Dicembre 2013 - Salvatores Settis
Salvatore Settis commenta "Mela" opera di Pietro Tomassi realizzata in collaborazione con Simone Politi: "Che cos’è una mela? In infinite rappresentazioni del Peccato Originale, l’abbiamo vista in mano ad Eva, che la porge ad Adamo dopo averla colta dall’Albero del Bene e del Male: è il frutto della conoscenza, simboleggia il limite tra il lecito e l’illecito, indica la spietata autorità divina che fissa leggi inesorabili, ma anche la curiosità degli esseri umani che non tollerano barriere né costrizioni. Nel nostro tempo, la mea si è prestata a una famosa metafora, quella di New York come the big apple, la grande mela. A quel che pare, la campagna promozionale degli anni Settanta che lanciò questa definizione fortunatissima si basava sugli scritti di un giornalista sportivo degli anni Venti, John FitzGerald, ma la sua vera origine è ancora oscura, e forse legata alla cultura afro-americana. Onnipresente è poi la mela rosicchiata che è diventata il logo di Apple Macintosh: il computer è dunque un frutto proibito? Il morso (bite) che incide la mela allude all’unità di misura della memoria elettronica (byte)? O questo logo celeberrimo è un omaggio ad Alan Turing, il matematico inglese sulle cui ricerche si basano i moderni computers? Turino, si sa, dopo uno scandalo legato alla sua mosessualità (allora fuori legge nel regno Unito), si uccise nel 1954 mangiando una mela avvelenata.
E l’enorme mela di Pietro Tomassi al nuovo Polo Didattico dell’Università di Pisa alle Piagge? un braccio che cala dal cielo la offre, raccolta nella mano, nell’atrio dell’edificio, attirando lo sguardo sin dall’ingresso e invitando a un’osservazione ravvicinata e molteplice dai vari piani del vano scale. La struttura trasparente, in ferro e incannicciato, bilancia con la sua leggerezza le dimensioni gigantesche della scultura che saluta ed accoglie gli studenti. Il gesto della mano che sorregge la mela sembra quasi quello di un re che regge il globo del potere (non per niente, in tedesco questa insegna sovrana si chiama Reichsapfel, “mela dell’impero”, ed è sormontata dalla croce): Questa big apple dell’ateneo pisano, che accoglie gli studenti e rende lo spazio del vano scale più compatto e raccolto, ha forse la sovranità di un gesto di dominio, ma nel contesto in cui è inserita e nell’apparente gracilità dei materiali sembra rimandare piuttosto alle condizioni della conoscenza: un’imponente presenza, una costituzionale fragilità. Certo non concepito come un logo, questa immagine forse lo diventerà: e infatti che cosa cerchiamo nelle università, se non la conoscenza con la sua maestà sempre fragile, sempre rinnovata?"
Lucca, 16 maggio 2013 - Marco Palamidessi
Marco Palamidessi scrive: "Si dice che non si sale mai tanto in alto come quando non si sa dove si sta andando. In tal senso, ma solo in questo spero, caro Pietro, giovane nella vita e nella scultura ma già così deciso e promettente, che non sappia davvero dove tu stia andando, quale strada avventurosa tu abbia appena imboccato. Ti sarai accorto che la vocazione artistica è tutto fuorché una benedizione, eppure è tanto necessaria per lasciare un segno tangibile della propria esistenza. Sai meglio di me che modellare è modellarsi, che plasmare è guardarsi dentro per capire il mondo, che crescere è salire, e salire è vedere le stelle da più vicino. Ti auguro di mettere al mondo opere meravigliose, cui darai una vita propria, enigmatica e pulsante, cui di rimando sarai loro figlio. Esse ti diranno su quale nuovo sentiero ti dovrai via via incamminare. Impara parole nuove a partire dalla materia e dalle cose, e sii svelto a catturare tutte le illuminazioni che ti appaiono nel buio. Impara dagli errori, capitano ance quelli: solo i veri artisti sanno comprenderne la preziosità e la particolare bellezza. Segui tutte le ispirazioni dalla più potete alla più flebile, sarà il tempo a mostrarti i risultati migliori. Tu guarda in alto, sempre, verso quel cielo così pieno di risposte, a quella celestialità del gesto di cui mi parlavi nel tuo studio: avrà senso nel grande mistero della creazione artistica. Sappi che non è necessario avere i piedi piantati a terra, a volte sono più concreti i sogni e solide le nuvole. avrai visto che tra il sogno e la realtà c’è una membrana sottile: eppure, tutto fa parte di quello stesso universo che è dentro e fuori di te. Un cosmo in cui ogni elemento possiede una dualità. C’è un fuoco da amare e uno da temere: entrambi conoscono il calore altissimo che fisserà l’ultima forma dei tuoi gesti e quel primo soffio di vita nelle tue creature. E se è vero che è religione anche non credere a niente, spero che tu possa amare la liturgia del fare. In tutto questo ricordati di vivere: per mezzo di quel lusso chiamato Arte, io credo sia la cosa più bella che ti possa succedere".
Livorno, 14 Luglio 2013 - Paolo
Grigò
Paolo Grigò scrive dei SOGNI NATURALI DI PIETRO TOMASSI: "L’uomo, diciamo pure l’amico, non è facile né subitaneo nell’aprire l’animo a chicchessia; ascolta, osserva e medita e pian piano si rivela e inizia a comunicare; i giorni nella Tabaccaia-Bottega, atmosfera cordiale per lo scultore, hanno sciolto il ghiaccio e la profonda dimensione umana di Pietro Tomassi si è palesata pari alla compiuta personalità d’arte che le sue opere denunciano.
Sublima nei soggetti lo splendore, in una realtà che bilica tra la poesia e il sogno, dosando patinature ricavate artificialmente nelle resine (vedi “Perseo” e la “Grande mela”) e dalla pratica della tecnica Rakù nella ceramica moltocongeniale all’artista (bvedi le quattro sculture recenti dal titolo “Terra, Aria, Fuoco e Acqua”, in una sorta di rituale, i quattro elementi delle filosofie presocratiche recuperano nella ceramica “Rakù”, la loro primitiva dimensione di energia e creazione; tecnica antica giapponese che significa “Gioire il giorno”, espressione che eleva la creatività dell’artista in simbiosi con questa tecnica, esaltando le sue capacità in una atmosfera immaginario-fantastica.
Dal suo laboratorio Pietro Tomassi continua a creare i suoi soggetti mitologici, i suoi sogni, dal magma di quell’antro onirico talvolta anche a lui segreto, causa prima delle sue inquietudini, si sprigionano con la forza e una necessità lucidamente convulsa, miriadi di ritrovati segni e simboli con il tentativo di decifrarli.
Anche così ci si può dare spiegazione della verità di cui si intride tutta l’ierrequietaa operosità di Tomassi, la sua continua smania di creare all’infinito intorno alla sua essenziale litografia; così ci si può dar conto della sincerità totale, esasperata e a tratti disperata, della sua arte che non consente a nessuno simulazioni interpretative."
Pisa, Luglio 2013 - Marina
Romiti
Marina Romiti scrive de L’UOMO, LA NATURA LA SPIRITUALITA’ ATTRAVERSO LA SCULTURA DI PIETRO TOMASSI: "La capacità realizzativa di Pietro Tomassi detiene una naturale predisposizione all’essenzialità scenica della situazione rappresentativa. Attraverso un dialogo proteso alla genesi naturale delle cose, alle azioni e al pensiero l’artista possiede il dono di dare concretezza allo spirito come di preservare la spiritualità della materia. La Natura biologica e mineraria è alla base del suo cammino scultoreo. Forma e colori diventano essenza di un incedere magico, lirico quasi surreale, deputato a dar vita a figure mitologiche che coinvolgono ed affascinano i nostri mezzi percettivi. Poesia compositiva che ipnotizza il nostro comune osservare, il nostro superficiale guardare. Natura dunque che è parte imprescindibile del talento di Tomassi, legame che sospinge a scrutare gli aspetti più profondi dell’elemento uomo verso la luce della spiritualità del coraggio e l’utopia del sogno. Valori che sono fondamentali di una vita protesa verso l’arte. Arte intesa come onestà individuale e intellettuale, come mezzo d’esaltazione non solo esistenziale ma soprattutto spirituale. La bellezza non è elemento artificioso, la bellezza è parte della materia stessa che l’artista sa plasmare. Ti auguro di dare vita alle tue opere con cuore, anima e spirito."
Maggio 2013 -
Massimo
Marsili
Massimo Marsilli scrive: "Lavorare l’argilla per modellare opere d’arte è un’azione altrettanto antica e oltremodo sacra. La religione ebraica e quella cristiana pongono in stretta correlazione la creazione dell’uomo con la divinità che plasma la terra. Molti miti dell’origine dell’uomo fondano la sua nascita su un atto creativo in cui si mescolano terra, acqua, fuoco e aria, per taluni il soffio. Quando agli inizi del pensiero occidentale i filosofi si interrogarono sull’origine della vita, fu ancora agli elementi primari che rivolsero la loro riflessione. Lavorare l’argille significa misurarsi con un atto di creazione, che rimanda all’origine stessa dell’uomo e degli utensili, che resero al primo la sopravvivenza più facile. L’antica tecnica raku cresce dentro lo spirito zen e risponde all’esigenza intima di celebrare la semplicità della vita quotidiana e di accompagnare la cerimonia del tè con tazze rituali dalle linee essenziali e dalla forma ridotta, adeguata al palmo della mano. Forse per tutto questo e per altro ancora, non ricordo nessun grande artista tra Ottocento e Novecento, che non si sia misurato con questa difficile tecnica. Pietro Tomassi affronta la complessa lavorazione dell’argilla. Le sue opere e i titoli, che Tomassi impone loro, sembrano affondare in una comune radice: la ricerca artistica e la ricerca di senso. Si evocano miti, elementi, strutture antropologiche dell’esistenza e astronomie simboliche. Lo si fa attraverso forme anomale. Si riconosce l’influenza d’autori di fumetti orientali, che non a caso impiegano la loro tipica conoscenza mitologica per forgiare personaggi e storie. In altri casi si individuano elementi espressionistici, che accennano al mostruoso e all’amplificazione smodata e deformata del soggetto. In altri casi ancora si ricorre alla sobrietà della sfera, alla composizione geometrica dello spazio, alla linearità del filo, all’interdipendenza dei contrari, come presagio di armonia. L’impiego di resine e di colori addolcisce le linee o al contrario accentua i volumi e ne sottolinea l’irregolarità. La ricerca del senso passa per queste forme. Una fatica profonda, spossata sembra coinvolgere la creazione. L’opera stenta ad assumere la forma e a precipitare nella sostanza inanimata: si scioglie nella terra o dalla terra stenta a sorgere? Un’agilità tesa e nervosa identifica altri soggetti, solidi nell’interazione con lo spazio: identificati nel tempo o dal tempo individuati? Un tratto di molte delle opere esposte è la potenza, o meglio la riduzione potente di innumerevoli tracce formali e culturali. La cifra di questa esposizione si può riassumere in una sorta di tormentato sincretismo. De Andrè cantava: Si sa che la gente dà buoni consigli, quando non può più dare cattivo esempio .....
Non ho consigli da dare a Pietro Tomassi e tanto meno intendo indicare esempi, ma ho una fredda constatazione da comunicargli: non esistono modelli. Il tutto che è poi la vita con la sua aspirazione alla totalità e alla riconoscibilità non trasferisce modelli e non ne indica. Kronos lo sa ed è per questo che rifiuta di essere padre: sa che non può essere modello, se non nei limiti della sua stessa caducità. L’intreccio dei molti paradigmi di queste opere è una ricchezza da accettare e conciliare tra inquietudine, ricerca e misura, che sono i tratti essenziali dell’arte e spesso della vita stessa."
Francesco Tomassi, in merito all'opera COSCIENZA esposta alla mostra di Lucca dice:
"In questa mostra è esposta un’opera “La Coscienza”, che ingrandita in un blocco di marmo bianco, vorrei ricoprisse la mia futura tomba.
Riposerei così nel ricordo dei sentimenti che essa con forza e dignità suscita: coraggio e fede nella resurrezione dalle sofferenze che la vita terrena sempre ci riserva. Questi sono i sentimenti con cui Pietro vive la sua vita e che io ho avuto la fortuna di condividere."